È un piacere scrivere di un pittore futurista proprio per la mostra inaugurale della nuova sede di Artecentro Lattuada Studio. La nuova sede e la nuova avventura di una galleria che tanto è stata devota all’arte inventata da Marinetti. E si può tornare indietro nel tempo almeno ricordando
la grande monografia prampoliniana degli anni Novanta. Ma è motivo di energia e positività anche l’occasione di poter parlare, in questa occasione, di un artista che fino a poco tempo fa era quasi nascosto o comunque era rimasto nel dimenticatoio. Chi se lo sarebbe aspettato che nel 2019, a dieci anni dal centenario, a venti dalla stagione delle grandi mostre degli anni Novanta e a trenta e più dai futurismi veneziani o, a quaranta da Ricostruzione Futurista
dell’Universo, alla Mole Antonelliana, si potesse ancora parlare e presentare un pittore “del futuro” con la ragionevole freschezza che gli compete. Ebbene così è per Sibò, Pierluigi Bossi, artista futurista tutto concentrato sulla trasfigurazione e mosso dall’ispirazione di uno spazio reale, da un fatto che stava accadendo, come la grande bonifica dell’Agro Pontino.Di Sibò, prima della recente monografia torinese, e quella romana dello scorso anno, e poi
ancora della retrospettiva istituzionale a Latina, nel GAM che egli stesso contribuì a formare,ricordo che per spirito di interesse e curiosità collocai un quadro nella mostra finlandese all’EMMA, già nel 2012. Era quella una aeropittura di guerra, ma ben altre cartucce e riserve,
a me allora ignote, erano nelle possibilità del pittore. Allora, prendiamo un po’ le mosse da ciò che fu l’aeropittura: per prima cosa si direbbe, la mobilitazione ottica del paesaggio motivata dal moto dell’aereo, dal suo volo. E qui subito Dottori, e poi in certo modo anche Tato, e Ambrosi e Crali, tra i più importanti. Che cosa fu poi: rappresentazione dell’aeroplano come nuovo soggetto dominate più di quanto lo fossero stati tutti gli altri mezzi di locomozione. Una tale insistenza e anche letteralmente frequenza o ossessività nel rappresentarlo che, qualsiasi cosa vi fosse sottoposta, non ne sarebbe uscita immutata – da qui quella lenta strutturale fusione tra esso e l’uomo. E poi, in una prospettiva di trasferimento e arbitrio verso l’arte meccanica negli anni Trenta, mischiata alle campiture piatte deperiane della pubblicità, D’Anna. Che cosa fu poi? Il proseguire il concetto della simultaneità, di notte e di
giorno, di tempo e di spazio, di avanti e retro, negli anni trenta, agganciandosi dunque il “ricordo” all’aria che trascorre, al passarsi alle spalle, lo staccarsi dalla pesantezza di un ruolo nel mondo. La simultaneità di ricordo e presente, ma anche di passato storico e futuro della specie. E così, implicazione tematica di nuovi mondi e prospettive di ideale fantastico futuro dell’umanità. Sibò si è mosso dentro tutto questo ma partendo in qualche modo dal basso,
dalla terra e dal territorio. Ci sono sue aeropitture dove la visione dall’alto di campi e di coste asseconda il plastico dinamismo di una rapida visione di sintesi, ma ce ne sono altre molto più frontali, costruttive, dove domina la città. Nel passaggio dalla città al paesaggio si dette
uno, tra i tanti, svolgimenti futuristi dagli anni dieci ai trenta. Ma qui di nuovo, i soggetti sono spesso città in costruzione, città sempre imbevute e
come dire bagnate dalla nuova terra verde, dell’agro rigenerato, smeraldo. In questa aeropittura costruttiva di città che spuntano nuove dalla natura artificiale, incontriamo creature a metà tra gli animali e gli aeroplani, gli uomini appunto. Finanche, commisti violentemente smembrati
nel frazionamento prospettico di spazi che si edificano. In Sibò la trasfigurazione della città territorio va proprio di pari passo con quella dei suoi abitanti e costruttori. Mi sono già trovato a sostenerlo: si tratti di futuro inverato, commisto con la realtà a un grado di consistenza sufficiente, che scarta sia dalla fantasticheria che dal realismo descrittivo o documentario. Tanti dei suoi quadri hanno delle aureole circolari che se da una parte rappresentano formazioni atmosferiche dall’altro sono anche portali, zone di passaggio o testimoni di una superficie terrestre aperta sul cosmo. A esso familiare per una comune fertilità di mondi. Dimensioni di neo-terra,di pianeti terraformati, fino pure alla fecondazione di uno spazio lontano, di tuberi e astri, che possiede tutta la concretezza dei terreni bonificati e arati dove viveva. Il tema non è nuovo o originale, si vedano le metafore prampoliane della Terra Madre, della pittura cosmica e biochimica, di un plasticismo artificiale e, di fatto, futurista, cioè mai visto prima, che a quell’altezza storica rappresentava le terre e materie extraterrestri. Ma quale connubio originale tra il reale che accadeva e l’immaginazione nella presa di posizione narrativa di Bossi. E poi, non mi
dimenticherò mai una sua affermazione sul territorio in smottamento, che per lui aeropittura poteva voler dire osservare un tale smottamento terrestre (e non aereo) dall’altezza di una gru. Perciò, è ciò che si muove autonomamente, il territorio, che fa corpo con ciò che si muove per
il moto proprio della visione in aeroplano, dall’alto e in volo. Da ciò deriva, una sensazione molto potente della vita autonoma della materia. La sensazione di una massa che sopraffà. Una vita non umana, che non è visione interiore. E da ciò deriva pure credo la sua predilezione e riscoperta del dinamismo plastico di Boccioni, che poi mette in opera anche includendo, al contrario, un chiaro dinamismo sequenziale – vedi le torri delle città – che non può scollegarsi dal tutto plastico e ne risulta annullato. E in questo tutto plastico può a volte trovarsi anche una parte dell’uomo, ossia un pezzo di aeroplano, il cui ambire una forma pienamente vivente è affidata al necessario divenire.
19.01.2021